Esordio alla regia del protagonista dell' INTERVISTA di Fellini: fisico simpaticamente stralunato a metà strada fra Troisi e Buster Keaton, fa il capostazione di notte in una stazioncina dell'Italia meridionale, e gli capita la bionda vestita di rosso che gli accavalla le gambe davanti allo sportello dei biglietti.Film di piccole cose impacciate , di sentimenti repressi che avranno poche ore per affiorare: la bionda parte con il primo treno del mattino. E fuori dalla stazioncina sprangata, imperversa una bestia di fidanzato che minaccia di buttare tutto all'aria se la ragazza non recede dall'idea di mandare a monte il matrimonio.
Anche se un po' tanto ricalcato su quello celebre di CANE DI PAGLIA di Peckinpah, è proprio il passaggio dalla piccola poesia dei sentimenti alla violenza insospettata cui è costretto il nostro novello Dustin Hoffman l'elemento che salva il film dalle esitazioni, i quasi impercettibili compiacimenti che denunciano eccessivamente l'origine teatrale del lavoro.
Ma il senso della misura tra umorismo e sentimentalismo, la disciplina con la quale Rubini si piega al tempo dell'azione (quel continuo giocare con gli orologi, con il ricorso degli avvenimenti), la volontà di circoscrivere gli spazi e di concludere il discorso fuori dalle convenzioni e dalle lungaggini, fa di LA STAZIONE un bellissimo esordio nel conformismo imperante.